STRABISMI 2

numero dedicato all'opera Il viandante sul mare di nebbia, 1818, Caspar David Friedrich 


In questo numero contributi di: Ermanno Cristini, Luca Scarabelli, Federica Boragina, Chiara Pergola, Luca Bertolo, Andrea Nacciarriti e Eleonora Martorana Valguarnera, Pierluigi Fresia, Roberto Rossi.


L’ORIZZONTE OPACO E LA FILOSOFIA DEL MATTINO

Naufraghi e naufragi

di ERMANNO CRISTINI

 

Sempre il pittore ci invita ad un gioco di società, offrendoci uno scambio di ruoli nel momento in cui pone il suo sguardo nelle nostre mani perché lo si adotti facendolo proprio. Ma in questo caso lo sguardo ha le diottrie ridotte visto che si perde nell’opacità della nebbia. “Chiudi il tuo occhio fisico”, recitava il pittore, quasi a prevedere quell’antiretinico che poi, cento anni più tardi, avrebbe cambiato il corso delle cose dell’arte ad opera del “Grande perturbatore”. L’astensione dello sguardo conduce ad eleggere lo smarrimentro come baricentro, una situazione di incertezza che la teoria dell’informazione chiama “entropia” e che è l’essenza stessa del fare artistico, la ragione del suo contributo di conoscenza in una accezione formativa e non decorativa di ciò che è estetica.

Dunque qui i due termini, “viandante” e “nebbia”, a cui il pittore si affida per nominare il suo quadro, sembrano trovarsi a coincidere, sovrapponendosi nel celebrare il non certo. L’una perché soffoca la vista aprendola all’ignoto di una penetrazione più acuta, segnata dal tocco, nel senso del mettere a nudo quasi baudeleriano. L’altro perché dando corpo all’inquietudine di un bisogno continuo di naufragio supera la dimensione consolatoria della meta da raggiungere per disporsi al valore euristico dell’azzardo contenuto nel viaggio come fine in sé.

Lasciandosi prendere dal gioco delle immagini e seguendo le assonanze tra le figure vien da pensare ad un altro “grande perturbatore”, Joseph Beuys, il quale con La rivoluzione siamo noi, per tante ragioni fronte del Viandante, sapeva che la ragione della sua opera stava dove lo sguardo si sarebbe perso in un’opera di cinque anni più tarda, Clavicembalo, un’altra figura di spalle, esplicitamente evocante il Viandante.

Il viandante beuysiano, reca inevitabilmente in filigrana la filosofia del mattino nietzschiana, ma allora forse si è anche portati a pensare che non c’è mattino fuori da un orizzonte opaco, ovvero non c’è rivoluzione dell’essere senza il suo naufragio continuo.

 


L(')ODE AL WANDERER

di CHIARA PERGOLA

 

Dopo aver concentrato ogni sguardo, assorbito come un buco nero tutte le energie per trasformarle in Nulla, convogliato i molti desideri nell’Unico Inattingibile, posso finalmente dire: sono veramente felice che non sia più davanti a me.


NOTA SUL WANDERER

di LUCA BERTOLO

 

Ha senso chiedersi cosa stia guardando l’uomo del Wanderer über dem Nebelsmeer? Ammettiamo che abbia senso. Il viandante sulla vetta, visto di spalle. Se proprio lo volete sapere, sono sicuro che non sta guardando qualcosa in particolare. Non sta guardando una roccia che emerge dalla nebbia, o un albero in lontananza… Cambiamo un attimo  location. Collina, giorno, cielo sereno. Una nonna dice alla nipotina: Guarda che bel paesaggio! La bambina risponde: L’uccellino ha un verme in bocca, nonna, poverino quel verme! La nonna insiste, Ma guarda il paesaggio là in fondo! Oltre l’albero, guarda com’è bello! Lo vedi là in fondo il mare? E la bambina: Quelle sono pere, vero nonna? Quelle verdi sono pere, vero nonna? E così via… A quanto pare i bambini non apprezzano il paesaggio. Fino a una certa età i bambini non apprezzano il paesaggio semplicemente perché non lo vedono. Il paesaggio sembra una cosa naturale, ma è un concetto piuttosto innaturale. O quantomeno astratto. E come tutti i concetti, deve formarsi nella nostra testa prima di permetterci di vedere (o intendere) il mondo attraverso di esso. È una cosa risaputa, lo so. Ma era solo per dire che secondo me il viandante non sta guardando qualcosa in lontananza. Quel che sta guardando è la lontananza, se mi passate questo modo fastidioso, pseudo filosofico, di parlare. Gli adulti, al contrario, adorano il paesaggio. Mettiamo che il paesaggio sia nato tra il ‘500 e il ‘600. Nasce come genere pittorico e diventa ben presto una categoria dello sguardo. Cosa avrebbe risposto una fanciulla a Giotto che, col pretesto di sfiorarla, le avesse indicato il paesaggio attorno Assisi in un tardo pomeriggio del 1296? Sia come sia, nel 1818 (l’anno del Wanderer) il paesaggio ha già almeno duecento annetti dietro le spalle. A quel tempo si può ormai apprezzare la bellezza (il sublime, la malinconia etc.) del paesaggio senza bisogno di una scusa, senza bisogno di qualche soggetto edificante in primo piano. Friedrich dipinge un bel po’ di questi Landschaftsbilder. Albe e tramonti si sprecano. Eppure in molti suoi quadri, forse i più belli, compaiono delle figure. Sono quasi sempre di spalle. Non sono personaggi che animano una storia. O quantomeno si tratta di una storia banale: quelle persone stanno semplicemente guardando. Vogliamo dire contemplando? Ok, lasciamo da parte la contemplazione. In ogni caso, se Friedrich avesse avuto una macchina fotografica avrebbe mollato il colpo con la pittura. Ci metterei una mano sul fuoco. Un bel macchinone a soffietto, altro che pennelli e compagnia cantante. Era un eccellente pittore, altroché. Eppure sono certo che una macchina fotografica l’avrebbe mandato in solluchero. Ma sento che sto come scivolando su una buccia di banana. Torniamo al viandante. Fin’ora, come quasi sempre si fa, ho parlato dell’immagine rappresentata nel quadro e non del dipinto in sé. Mi ero ripromesso di non cascarci e invece ci sono cascato anch’io. Del resto, per parlare di un dipinto devi averlo davanti e io ora sono piuttosto lontano da Amburgo, dove si trova la tela di Friedrich. L’ho vista dal vivo una sola volta, sarà stato nel 2004. Una cosa la posso comunque dire per esperienza diretta. Sto per contraddire un po’ quello che ho scritto prima, ma pazienza. Se lasciamo da parte il caso in cui la si vede da molto lontano o in condizioni metereologiche estreme, una montagna in una foto è pur sempre la somma di tanti particolari (alberi, rocce etc). In pittura invece devi fare il contrario. Dipingi prima la forma. Un paio di pennellate e la montagna e già lì. Poi, se vuoi, puoi darti da fare per rendere le caratteristiche che normalmente ha una montagna. L’ho fatta un po’ lunga, ma è solo per dire che la pittura, in ultima analisi, è molto disponibile alla rappresentazione del paesaggio. In generale, la pittura è una vera potenza in quanto ai concetti generali…  


1818: L'AMORE DEL VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA

 

di LUCA SCARABELLI

 

Il viandante (o del pittore) è una figura ritagliata nello spazio aperto.

Siamo in epoca romantica, l’uomo e la natura s’incontrano su più livelli, si contemplano e completano, s’intrecciano e dialogano nel pensiero e nell’immagine, forse cercando l’unità tra l’elevazione spirituale dell’uomo e la fatica fisica dell’ascesa, per una comunione celebrata sulle alte vette delle montagne dove finalmente si sente il respiro del mondo e si può rubare il tempo.

E’ una nuova grammatica per il tempo a venire, una pittura che ci chiama e invita a sfiorare il senso del mondo, giusto come dopo una notte passata a mirar le stelle, quando lo sguardo poteva permettersi di perdersi nel buio e ciò bastava.

Cupio dissolvi dell’animo.

Il viaggiatore è solitario e getta lo sguardo in avanti come il Monaco che sta in riva al mare, dove non c’è niente da guardare se non l’impressione devastante di trovarsi davanti al confine del mondo, alla fine del mondo, e qui in cima alla montagna il mondo sta sotto, in basso, velato da una fitta coltre di nebbia, altre cime si ergono dalla foschia ad indicare altri luoghi, punti nello spazio, approdi nello spazio, agganci per lo sguardo che si proietta oltre i suoi piedi ben saldi sulla roccia, in una leonardesca prospettiva dei perdimenti.

E’ la grammatica della creazione, la grammatica della luce.

C’è chi cattura il colore per fermare la luce e chi lo libera.

 C’è vento; semplicemente il cielo e la terra si toccano.

Il suo sguardo scorre verso l’orizzonte, nel panorama, il nostro invece arranca sulla sua schiena, e lì sente il pericolo di quella veduta, sente il fiorire di un’epoca, di cui lui è testimone, e noi spettatori tragicamente in relazione con il mondo, condividiamo un senso di tragicità e metafisica malinconia. Il mondo è un bel posto dove andare in fuga, dove farsi compagnia, dove allontanarsi e perdersi. Dove lasciarsi. La natura diventa cultura.

Non si vede il suo volto. L’atteggiamento del nostro viandante è quello della fierezza, si può intuire lo stato d’animo dalla sua postura orgogliosa e da quel piede che si pone in avanti come a indicare un possibile nuovo passo. Un passo dopo l’altro per arrivare in cima, un passo per ora sospeso, un passo di sfida e di vertigine, di confronto, di passione e di sublime stordimento, con un sentimento di vuoto interiore e con il reale che gli sfugge. La sua debolezza con cui fare i conti.

Dopo l’ascensione (quindi una salita anche spirituale) è emerso dal mare di nebbia, e la pittura sta lì a celebrarlo con un colore che rapisce e pervade e che diventa parte di te che osservi la scena con il cuore tormentato. E’ il ricordo del presente e la ricerca della solitudine come stato esistenziale privilegiato.

Ci si guarda così solo da lontano, con lo sguardo abbandonato alla bellezza, anelito verso il tutto, in una sfasatura mai chiusa del tempo, per farsi reciprocamente dono di un colore che è un po’ dolore, un po’ angoscia, sentimento di un momento che non ci può salvare, bellezza profonda.

“Questo è per te” disse, “per la mano che ti ho sfiorato una notte sotto le stelle mentre ci si attardava a cercare le lucciole”. Il nulla lo pervase.

Poi scese a cercare un albero su cui appoggiarsi per riposare.

Altri seguiranno.

Sehnsucht. 


ACTOR IN THE DRAMA / IDILLIO DEL ROVESCIAMENTO

di ANDREA NACCIARRITI e ELEONORA MARTORANA VALGUARNERA

 

Percepisco una costante attenzione a tutte le componenti del nostro ecosistema che fanno della natura un vero e proprio "actor in the drama" e non una presenza di sfondo alle azioni meramente esornativa. E non posso essere una semplice spettatrice del mondo poiché vivo immersa dentro il mio 'ecosistema' che tende a coincidere con quello degli altri. L'attenzione alla bellezza della natura diviene una qualità estetica che diventa come un filtro per conoscere la sensibilità delle persone e qui il ‘sentimento del paesaggio’ favorisce "l'innamoramento" secondo un processo di doppia contemplazione, che mi porta ad uno slittamento metonimico dell'interesse dai luoghi contemplati alle persone che li contemplano. È forse questa la capacità di osservazione, la sensibilità acuta in grado di carpire «certi momenti fuggevoli della natura» stessa?

###

Idillio del rovesciamento.

###

Si sceglie davvero il luogo esatto da cui guardare le cose? È quello il punto di vista privilegiato? Spesso controllo la posizione delle mie scarpe a terra, posiziono i piedi a formare un equilibrio geometrico con le linee del marciapiede, rialzo lo sguardo e sembra che tutto ruoti attorno a quella geometria, se il fumo della sigaretta mi va negli occhi cerco di spostare la testa per non perdere la posizione, non ho più lo stesso punto di vista, i muscoli faticano nel mantenere l’equilibrio. Eppure sembra che non cambi poi così tanto, me ne accorgo solo quando riprendo a camminare, il movimento mi chiarisce tutto, sembra nuovo e ancora nuovo e un altro ancora, è un equilibrio perpetuo dove tutto scorre. È nell’azione che il punto di vista non è più punto di vista, trascura il sublime di un equilibrio immortalato, statico, convive con la precarietà perché si agita, magari senza un fine, ma si agita, forse senza comprenderla ma non ne osserva la sagoma.


IO TI GUARDO E TU GUARDI 

di PIERLUIGI FRESIA

 

Io ti guardo e tu guardi,

e laggiù dove guardi  non posso guardare se ti guardo

se riesco a guardare laggiù dove guardi ho smesso di guardarti

e se smetto di guardarti un freddo mi dice che  resto solo nel mio guardare

solo a guardare il guardabile che l’occhio permette

quest’occhio che prima si beava stupido nel guardarti

quest’occhio che è l’inizio di ogni sguardo mio creatore carceriere di ogni volontà

anelito

ridicolo balzo.


OSSERVAZIONI

di ROBERTO ROSSI

 

Ecco un quadro davanti al quale i filosofi si divertono a parlare dei propri affari!

D’altronde, Friedrich tende una mano aperta all’Idealismo tedesco. I figli del pensiero kantiano sostengono due delle maggiori cifre poetiche del pittore romantico: l’uomo e il suo rapporto con la natura.

Il sublime kantiano insegna che la natura non è solo l’insensato insieme di cause che la prospettiva meccanicista solitamente propina: la natura è (anche) maestra d’etica. Essa deve essere perlomeno pensabile come finalizzata a uno scopo, determinata da un atto di libertà. Ecco dunque che un giovane Schelling rischia la coerenza del proprio sistema filosofico pur di stabilire le condizioni di possibilità affinché la natura sia concatenata alla dimensione spirituale dell’uomo. Soggetto e oggetto si confondono, arte e scienza hanno da fare, in fondo, un unico discorso.

Ciò detto, credo che Viandante sul mare di nebbia sia una lezione sull’osservare e, in particolare, sull’osservare secondo questa prospettiva unitaria. Il cuore dell’opera è proprio un uomo che guarda, l’incarnazione visiva del soggetto idealista, un soggetto che però non è misura di se stesso, bensì speculare alla natura che egli osserva. L’uomo è tutt’uno con la natura, si nasconde allo stesso modo: il primo è voltato di schiena, la seconda ammantata di nebbia. L’azione del soggetto è misurata dalla natura, entrambe poggiano con un piede nell’ignoto. Dunque anche l’arte, in quanto azione dell’uomo, è da capirsi guardando al modo in cui si guarda la natura.

Rileggiamo la nostra fruizione dell’immagine alla luce di ciò. Noi osserviamo qualcuno che nel quadro osserva e impariamo dunque a osservare il quadro, così come costui, da noi osservato, impara dal proprio oggetto di osservazione. In questo paesaggio, che è in realtà un intreccio di sguardi che non si incontrano, ma dove tutti sbirciano quel che non si vede nella speranza di capirci qualcosa, Friedrich offre una potente sintesi dell’odissea dello Spirito verso l’Assoluto.


IO TI GUARDO E TU GUARDI 

di FEDERICA BORAGINA

 

“Lo sguardo perso nell’infinito”. Così ho sempre letto sui libri di storia dell’arte, in commento a quell’uomo, fermo sulla roccia. Eppure a me ha sempre dato l’impressione di avere lo sguardo basso, rivolto verso i propri piedi; non tanto alla ricerca dell’infinito, ma di qualcosa di finito, forse cadutogli dalla tasca… Credo fermamente nel rapporto personale e segreto che si crea con le opere d’arte e i loro protagonisti, sconosciuti che a volte ci sono più vicini degli amici, con il privilegio di risparmiarci le delusioni proprio perché, in parte, sono frutto della nostra fantasia. Se per mestiere si intende scrivere di arte, la fantasia, spesso, bisogna tenerla sotto controllo, o, per lo meno, sottometterla alla ricerca storica. Nonostante il mestiere, - qui lo dico, qui lo nego -, ho sempre provato una certa antipatia per il Romanticismo: non ho una motivazione razionale e critica precisa, solo una sana insofferenza: troppe nebbie, troppe montagne, troppe tempeste. Ecco, forse, perché il mio sguardo si è sempre fermato sull’uomo, sulla sua testa, ignorando l’infinito. Quel viandante ha sicuramente camminato troppo e, giunto al precipizio, ha raddrizzato le gambe, sciolto le braccia e il collo irrigiditi dalla postura da camminatore. Il movimento ha fatto cadere qualcosa dalla tasca; qualcosa che è caduto fra le rocce. Eccolo allora salire su quella roccia spiovente, sicuro come uno scalatore, per cercare quel dannato oggetto che sembra scomparso. Ora, davanti a questo quadro mi sono sempre chiesta: “Chissà cosa ha perso?” La mia improbabile curiosità è rimasta a lungo insoddisfatta, fino a quando, non senza compiacimento, ho scoperto che un episodio di Sherlock Holmes sarebbe ispirato proprio al Viandante di Friedrich. Non so quale validità interpretativa abbia tutto questo, ma mi è tutto più chiaro: il viandante cerca l’arma del delitto.

 

“Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare”

(Sherlock Holmes).